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Paolo Villaggio: scrisse una canzone per per De André Carlo Martello! (audio, testo e significato)

scritto da Laura Valli

Non tutti lo sanno ma Paolo Villaggio non era solo un amatissimo attore ed una maschera dall’amara comicità.

Da buon genovese Paolo Villaggio se la intendeva benissimo con il grande amico di Fabrizio De Andrè, per il quale scrisse i testi alcuni brani.

Carlo Martello, fu scritta nel 1962 e racconta l’atteso ritorno dell’eroe dalla battaglia, ambientato in epoca medioevale

Invece di proporre pensieri alti e di grande levatura morale, viveva desideri sessuali dopo una lunga e forzata astinenza dovuta alla guerra.

La contrapposizione tra due diversi e opposti registri linguistici, sottolinea alla perfezione questo aspetto, passando dall’ideale linguaggio forbito e raffinato, al popolare istinto, a tratti, volgare.

Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers – Fabrizio De Andrè e Paolo Villaggio

Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra cingendolo d’allor.
Al sol della calda primavera
lampeggia l’armatura del Sire vincitor.

Il sangue del Principe e del Moro
arrossano il cimiero d’identico color
ma più che del corpo le ferite
da Carlo son sentite le bramosie d’amor.

“Se ansia di gloria, sete d’onore
spegne la guerra al vincitore
non ti concede un momento per fare all’amore.

Chi poi impone alla sposa soave
di castità la cintura ahimé è grave
in battaglia può correre il rischio di perder la chiave”.

Così si lamenta il re cristano
s’inchina intorno il grano, gli son corona i fior.

Lo specchio di chiara fontanella
riflette fiero in sella dei Mori il vincitor.

Quand’ecco nell’acqua si compone
mirabile visione il simbolo d’amor
nel folto di lunghe trecce bionde
il seno si confonde ignudo in pieno sol.
“mai non fu vista cosa più bella
mai io non colsi siffatta pulzella”
disse re carlo scendendo veloce di sella.
“Deh, cavaliere non v’accostate
già d’altri è gaudio quel che cercate
ad altra più facile fonte la sete calmate”.

Sorpreso da un dire sì deciso
sentendosi deriso re Carlo s’arrestò
ma più dell’onor poté il digiuno
fremente l’elmo bruno il sire si levò.

Codesta era l’arma sua segreta
da Carlo spesso usata in gran difficoltà
alla donna apparve un gran nasone
un volto da caprone, ma era Sua Maestà.
“Se voi non foste il mio sovrano”
Carlo si sfila il pesante spadone
“non celerei il disio di fuggirvi lontano.

Ma poiché siete il mio signore”
Carlo si toglie l’intero gabbione
“debbo concedermi spoglia ad ogni pudore”.

Cavaliere lui era assai valente
ed anche in quel frangente d’onor si ricoprì
e giunto alla fin della tenzone
incerto sull’arcione tentò di risalir.

Veloce lo arpiona la pulzella
repente una parcella presenta al suo signor
“deh, proprio perché voi siete il sire
fan cinquemila lire, è un prezzo di favor”.
“E’ mai possibile, porco d’un cane,
che le avventure in codesto reame
debban risolversi tutte con grandi puttane.

Anche sul prezzo c’è poi da ridire
ben mi ricordo che pria di partire
v’eran tariffe inferiori alle tremila lire”.

Ciò detto, agì da gran cialtrone
con balzo da leone in sella si lanciò
frustando il cavallo come un ciuco
tra i glicini e il sambuco il re si dileguò.

Re Carlo tornava dalla guerra
l’accoglie la sua terra cingendolo d’allor.

Al sol della calda primavera
lampeggia l’armatura del sire vincitor.