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Shawn Mendes – Handwritten: la recensione di GingerGeneration.it!

scritto da Alberto Muraro

Anche se forse sono un po’ cresciutello per ascoltare un certo tipo di teen pop, Shawn Mendes mi ha decisamente conquistato, fin dal primo ascolto: sarà che è lui stesso autore di alcuni dei suoi testi, sarà che mi piace la sua voce, sarà che il secondo singolo del suo disco d’esordio Handwritten, intitolto Stiches, mi ha creato una dipendenza assurda come neanche un vasetto di Nutella potrebbe fare.

Mendes, canadese classe 1998, ha in effetti tutte le carte in regola per farsi adorare da un pubblico che oggi più che mai ha bisogno di un viso pulito e di un pop romantico e senza impegno; se a questo aggiungiamo l’immagine del classico ragazzo della porta accanto che tutte le madri vorrebbero accanto alla propria figlia, beh, il successo è a maggior ragione assicurato. Nato su Vine con le sue cover “istantanee”, il cantante si infatti è affermato in brevissimo tempo come il nuovo idolo delle masse social, raccogliendo intorna a sé un interesse sempre maggiore e riuscendo a diventare persino opening act di un mostro sacro come Taylor Swift.

Handwritten è già una consacrazione di per sé, nonostante sia soltanto il suo primo disco solista: l’album, composto da 12 tracce nella versione standard e da 15 in quella deluxe, è un mix del meglio del pop-rock attualmente in circolazione, con chiari riferimenti (che non sfociano però mai nel copia-incolla) ad Ed Sheeran (su tutti), Bruno Mars e Justin Timberlake. Il suo punto di forza è l’originalità dei pezzi, che non solo sono estremamente orecchiabili ma prendono anche spunto dai generi più diversi, rendendo il disco molto vario e mai noioso (ma non “raffazzonato”): giusto per fare un esempio, Handwritten si apre con Life of the party, un piccolo grande manifesto generazionale pop (“non abbiamo tempo di dispiacerci, non dobbiamo preoccuparci di quello che pensa la gente, viviamo una vita di festa”) che apre le danze in maniera magistrale. Per il resto, Shawn Mendes dà il vero meglio di sé nelle ballad dal sapore folk (Never be alone) e nei pezzi più romantici dallo spiccato sound pop-rock (nel caso di A little too much, oppure nella stupenda Strings, dove Shawn improvissa anche un serratissimo e sorprendente rap); l’artista prova poi anche la strada della hit da stadio, nel caso di Something Big, perdendo però forse quella naturalezza che caratterizza il resto del progetto, molto più profondo e introspettivo.

Così giovane eppure così talentuoso, Shawn Mendes mi ha davvero stupito: egoisticamente, spero a questo punto che tutte quelle ferite di cui parla in Stiches (che, mentalmente, ancora canticchio) non si rimargineranno nell’immediato e diano vita, chi lo sa. ad un secondo disco (per tradizione, il più difficile) ancora più emozionante, convincente e profondo. Caro Shawn, buona la prima. Care fan, sappiate che è nata una stella!

Shawn Mendes handwritten

Tracklist

Life of the party
Stitches
Never be alone
kid in love
I don’t even know your name
Something big
Strings
Aftertaste
Air
Crazy
A little too much
This is what it takes
Bring it back
Imagination
The Weight