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Blade Runner 2049 – la recensione: perché il film di Villeneuve è già un cult

scritto da Federica Marcucci

Sono passati soltanto due giorni dal debutto in sala di Blade Runner 2049, tuttavia siamo convinti che l’eco di questo film firmato dal canadese Denis Villeneuve sia destinato ad accompagnarci ancora per molto tempo. Forse per sempre. Ecco perché vale la pena domandarsi che cos’è un cult e per quale ragione?

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Dopo 30 anni esatti dall’uscita del Blade Runner di Ridley Scott (a sua volta tratto dal romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep? dell’autore cyberpunk Philip K. Dick), film che ha letteralmente rivoluzionato il modo di concepire il mondo della fantascienza al cinema, siamo per forza chiamati a rispondere a questa domanda.

Tra le arti forse è proprio il cinema, complice la sua “giovane età, quella che risente di maggiori pregiudizi. Basti pensare alla comune idea degli adattamenti dai romanzi. Una di questa riguarda proprio i sequel che, spesso a ragione, vengono realizzati soltanto in funzione di certe operazioni di marketing.

Blade Runner 2049 ha corso il rischio di diventare una sorta di macchia opaca su un modo ormai compiuto, costruito e per certi versi perfetto: una reinvenzione contemporanea di un universo che, ancora oggi, continua a comunicare e ispirare registi e non solo. Tuttavia non è andata così.

Parlare della trama del film senza cadere nello spoiler è praticamente impossibile, perciò rispettando il volere del regista, ci limiteremo a dire che, ricalcando in modo rispettoso e fedele l’universo pre-esistente del 1982-2019, le cui passate vicende sono indispensabili per comprendere quelle del 2017-2049, Villeneuve è stato in grado di ampliare il tutto creando una visione più amplia e complessa, in cui la potenza delle immagini, le intuizioni narrative e visive si accompagnano a importantissime implicazioni esistenziali.

“Più umani degli umani”. La nuova generazione di androidi del 2049 sembra essere perfettamente integrata in una società dagli ecosistemi inesistenti, ancor più distopica e alienata. Tuttavia basta il ricordo di un miracolo a riportare a galla un sentimento di rivalsa che si gioca tutto con la differenza tra vita e vivere.

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Una vicenda che si sviluppa in mondo in cui i colori freddi della piovosa Los Angeles (ripresi dal film del 1982) si contrappongono a quelli caldi del deserto, mentre reminiscenze del passato si contrappongono a immagini altrettanto comunicative: il metaforico valore del legno, l’impossibile e tenera storia d’amore tra il protagonista K. (Ryan Gosling) e l’ologramma Joi (Ana De Armas) e in particolare tutte le sequenze in cui, in un modo o nell’altro, il regista suggerisce attraverso la musica (la sequenza con l’ologramma di Elvis, ad esempio) la ricerca di un passato ormai troppo lontano per un’umanità perduta. Un’umanità che non è più umana poiché priva di purezza e incapace di accettare un miracolo.

Insomma se l’etichetta di cult, banale o meno che sia, può essere attribuita liberamente su ogni possibile livello artistico-narrativo siamo convinti che Blade Runner 2049 sia uno di quei rari casi della storia del cinema in cui la prima visione del film coincide con la sua consacrazione.

Sia che abbiate guardato o meno il film, vi consigliamo di dare un’occhiata ai 3 cortometraggi introduttivi commissionati da Villeneuve a Luke Scott (figlio di Ridley) e Shinichirô Watanabe, fondamentali per comprendere alcuni passaggi della storia tra il 2019 e il 2049.

Guarda il trailer di Blade Runner 2049: