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La rivoluzione su quattro ruote di Laleh

scritto da admin

La piccola Schumacher con il velo d’ordinanza
Ventinove anni, occhi neri, sguardo perspicace di chi è abituato a non dare mai nulla per scontato: lei è Laleh Seddigh, ribattezzata “la piccola Schumacher”, prima donna ad aver vinto una gara di formula Gran Turismo con la sua Peugeot 206.

La notizia potrebbe anche essere tutta qui, racchiusa in poche righe informative di cronaca sportiva lette solo da appassionati del genere. E invece no: c’è molto di più dietro la storia di questa bella ragazza salita sul podio per ricevere il primo premio, qualcosa che travalica smilze pagine di quotidiano per andare a stamparsi nella memoria collettiva. Una di quelle “news” destinate a farsi ricordare: nel bene, ovviamente.

Perché Laleh, laureata in management industriale, un master in produzione, grinta da vendere e della sana competizione sciolta nel carattere risoluto, è una gran pilota, certo: ma iraniana. La prima pilota iraniana, per essere più precisi. E quale sia la situazione delle donne in Iran, paese già altamente problematico, è cosa tristemente nota a tutti: discriminazione, sottomissione, forti impedimenti nel partecipare alla vita pubblica, dalla politica alla cultura, dall’economia allo sport.

Spazio al gentil sesso: quando lo sport si tinge di rosa
Quella di Laleh, quindi, è una vittoria nella vittoria, ottenuta con determinazione, senza strepiti o clamori: dopo la prima partita di calcio tra squadre femminili del 2003, scese in campo a Teheran in uno stadio off limits agli uomini, nel settembre 2006 è stata la volta della Seddigh, salita sul podio al gradino più alto, prima donna al volante in un rally gareggiato con soli uomini che, come mostra la laconica foto della premiazione, sono stati abbandonati nella polvere.

 Non tutto, però, è andato per il verso giusto in questa favola di riscatto al femminile: la Federazione automobilistica iraniana, infatti, nella persona del suo vice presidente, Hossein Shahryari, le ha impedito di difendere quel titolo faticosamente guadagnato sul campo, vietandole l’accesso alle gare per non meglio specificati “motivi di sicurezza” e una “riorganizzazione del settore”, primo fra tutti la separazione degli eventi sportivi femminili da quelli maschili.

Un sogno più forte di qualunque regolamento
Laleh, comunque, non si è fatta intimidire, nemmeno dopo che un mullah avrebbe emanato una fatwa contro di lei: continua a correre, guidata, è il caso di dirlo, da una grande passione per l’automobilismo, nella speranza che lo sport aiuti a migliorare l’immagine di un paese alle prese con il nucleare e le minacce del suo presidente, Ahmadinejad, al vicino Israele.

E’ forte e sicura, Laleh, così tanto da rendersi conto del proprio valore, delle proprie capacità: come una qualunque ragazza occidentale vorrebbe “solo” riuscire a raggiungere personali obiettivi (perché no, anche quelli di un marito con cui costruire una famiglia, solo quando sarà il momento giusto), restando in Iran: per dare il buon esempio ed infondere coraggio a tante altre ragazze “normali” in un paese sui generis.

Perché si può scrivere la storia, senza essere eroi: semplicemente restando sé stessi.

 

 

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