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Paola Binetti sul caso Eluana Englaro

scritto da admin

Sono mesi che sui media sentiamo parlare di Eluana Englaro, la donna di 38 anni in stato vegetativo dal 1992 e del padre Beppino, da anni impegnato a chiedere la possibilità di sospenderne le cure.
Abbiamo intervistato Paola Binetti, deputata al Parlamento per il Partito Democratico e docente di medicina e bioetica presso l’Università Campus Biomedico di Roma, per farci spiegare  perché tutti parlano di Eluana e quali siano le implicazioni umane e sociali di questa vicenda.

 – Tutti parlano del caso Eluana: perché dovremmo “prendere posizione” su un caso così privato e doloroso per la famiglia di questa donna?
PB: "La vita di Eluana ci obbliga ad uscire dalla indifferenza frettolosa con cui a volte ci poniamo i quesiti più importanti della nostra esistenza: non solo su cosa sia la vita e cosa sia la morte, ma anche su come dar senso alla nostra vita, anche quando sembrerebbe non averne. Senza Eluana tutto il nostro Paese sarebbe più povero, perché meno sollecitato a riflettere sul valore della vita, indipendentemente dalla sua apparente non-utilità. Per questo tutti le dobbiamo un grazie convinto. […]. Mentre ci chiediamo perché la morte non sopraggiunga per Eluana, la vita di questa donna conserva integro il suo valore, per lei e per noi, perché anche lei ha ancora molto da fare, molto da insegnare proprio sull’Amore e su quanto ce ne sia bisogno. Non a caso Qualcuno ha detto che saremo giudicati proprio sull’Amore".

– C’è chi dice che quella di Eluana non si possa chiamare vita: Lei come risponde a questa affermazione?
PB: "La vita in tutto il suo arco, dalla nascita alla morte, può attraversare momenti più belli e momenti più difficili; momenti in cui siamo in grado di fare tutto ciò che vogliamo e momenti in cui dipendiamo dagli altri. Momenti in cui è facile dire “io voglio”, per affermare la nostra identità e momenti in cui viviamo solo grazie alla la solidarietà umana, a cominciare da quella di chi ci ama di più e indubbiamente si sacrifica per noi.  C’è un momento per far da sé e un momento per lasciare che altri ci esprimano il loro amore prendendosi cura di noi. Siamo vivi in entrambi i momenti, ma viviamo la nostra condizione in modo diverso: è proprio la relazione di cura che definisce il grado di civiltà di un popolo e nello stesso tempo il grado di umanità di una persona. Gli indifferenti, gli egoisti, gli opportunisti e gli sfruttatori possono sembrare i cosiddetti furbi, ma tutti noi ben sappiamo che sono sostanzialmente persone poco umane. La nostra umanità si manifesta soprattutto nella solidarietà verso i più deboli e i più fragili. Ed Eluana oggi vive anche grazie all’amore di chi gli sta accanto e non cessa di prendersi cura di lei.
Conosciamo tutti persone che non vorrebbero più vivere perché si sentono sole e pensano che nessuno le ami. Eluana in cambio è molto amata, anche se la sua vita manca di tante altre cose, di cui oggi qualcuno di noi può pensare che non saprebbe fare a meno… a cominciare dalla libertà di andare e di venire, di fare una cosa o l’altra. Eluana però sa e sente di essere amata, sente la cura che ci si prende di lei e vive anche per questo e di questo. […]".

– La decisione della cassazione che autorizza la sospensione dell’alimentazione ad Eluana è considerata da alcuni una “liberazione” dalle sofferenze e da altri una “condanna a morte” nei confronti di chi non è capace di intendere e di volere. Chi ha ragione e perché?
PB: "Non c’è dubbio che sul caso Englaro tanto il parlamento come l’opinione pubblica appaiono spaccati a metà […] C’è chi crede che la dignità della vita dipenda dalla sua sacralità e chi crede che dipenda dalla sua qualità  (quasi che le due categorie siano intrinsecamente in contraddizione reciproca). Chi parte dal principio della sacralità della vita pretende che la vita sia sempre da considerare indisponibile, cioè che non si possa decidere di toglierla  a se stessi o ad altri ( non solo eticamente, ma anche giuridicamente). Chi invece sostiene la teoria della qualità della vita arriva rapidamente ad affermare che una vita colpita da una malattia che le sottragga qualità non meriti rispetto morale e protezione giuridica e comunque è pienamente convinto che solo la persona interessata, purché autonoma e competente, possa giudicare della dignità della propria esistenza. Però se si sostiene questa posizione si dovrebbe per coerenza riconoscere, secondo la logica, il diritto al suicidio e il diritto al suicidio assistito. Sempre seguendo la logica, si arriverebbe a sostenere che è giusto negare qualsiasi intervento in soccorso di coloro che, avendo tentato di suicidarsi, ma non essendo ancora riusciti a morire, potrebbero essere salvati, con interventi medici o comunque assistenziali rapidi e appropriati. Ma a questo punto l’eutanasia, almeno l’eutanasia passiva, quella cioè che si concretizza nella sospensione di terapie salvavita, potrebbe essere legittimamente praticata, indipendentemente dalla richiesta del paziente stesso. E molti di noi non reputano giusto che si giunga a tanto. D’altra parte in molti paesi in cui c’è una legge che lo consente in tempi molto rapidi è stata presentata anche una legge di richiesta dell’eutanasia…

– Al centro delle discussioni mediatiche è stato posto spesso il padre di Eluana, Beppino Englaro, che è stato più volte attaccato per la sua volontà di porre fine alle sofferenze della figlia. Cosa direbbe al padre di Eluana in questo momento straziante della sua vita?
PB: Soltanto una cosa, che gli ho già detto oltre un anno fa: che gli siamo profondamente vicini nel suo dolore e nella sua sofferenza, e che gli riconosciamo il diritto  a chiederci tutto quello che vuole, salvo una cosa: la vita di sua figlia che in questi anni ci è diventata sempre più cara, come simbolo vivente di una persona che ama la vita e continua a vivere nonostante tutto… L’immagine di Eluana, raccontata sulle pagine dei giornali attraverso le foto che il papà fa circolare tra di noi, ci parla di gioventù, di allegria, di capacità di comunicare con il suo sorriso voglia di vivere: lasciamola vivere, perché comunque arriverà il suo momento di andarsene e allora la piangeremo come si fa con una “vecchia” amica che abbiamo imparato a conoscere, a rispettare e ad aspettare.

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