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Baby – Netflix: perché tra stereotipi e bugie la serie non convince

scritto da Federica Marcucci

Il nostro giudizio vi sembrerà forse eccessivo, tuttavia da Baby – prodotto italiano targato Netflix, ci si poteva aspettare molto più. In una contemporaneità seriale, e non, in cui i teen drama (fatti bene) spopolano, Baby appare una copia sbaffata di una serie di serie B; oltretutto piena di stereotipi e priva di morale.

E vi diremo di più: crediamo che sia un vero peccato che in ben 180 paesi vedano un prodotto italiano che non distingue di certo né per valori per valori artistici, né per veicolare alcun tipo di messaggio.

Nonostante il piglio trendy della regia (le chat on screen) e una colonna sonora modaiola (Måneskin, Elisa e Tommaso Paradiso, Chromatics) Baby risulta vuoto e privo di empatia, esattamente come i suoi protagonisti.

Emotivamente turbati e insoddisfatti, ingabbiati in una società soffocante e fatta di apparenze, i protagonisti fanno sì un loro percorso, questo è innegabile. Tuttavia non si tratta di un percorso di maturazione, quanto più di una corsa a ostacoli che, forse può portare a maggiore consapevolezza, ma che non rinuncia di certo alle bugie e ai sotterfugi che fanno da filo conduttore a tutto il film.

Un’idea rafforzata dallo stesso finale della serie. Nel finale di Baby assistiamo a una vera e propria ring composition, in cui vediamo e ascoltiamo la sequenza d’apertura in cui Chiara confessa la necessità dei “giovani che vivono nell’acquario” di avere segreti.

Infatti, in un modo o nell’altro, tutti i personaggi di Baby si interfacciano in modo falso con gli altri, in un mondo in cui la trasparenza non vuole (o non può esistere). Chiara mentirà sempre a Camilla, ma anche a Damiano il quale non saprà mai niente del suo passato. Anche l’amicizia tra la stessa Chiara e Ludovica è fondata sulla ricerca di menzogna.

L’unico personaggio che si libera da questo circolo vizioso è Fabio che, dopo essersi confessato al padre, esce felicemente con un ragazzo di cui è innamorato.

Impostati, stereotipati ed egocentrici i personaggi di Baby sono, a nostro avviso, quanto c’è di più distante dai giovani di questa generazione, sia nei gesti che nelle parole troppo scontate e prive di vita. Tutti hanno il diritto di sbagliare, ma l’errore più grande di chi ha creato questa serie è stato pensare che dei giovani potessero appassionarsi a personaggi che prima di tradire sé stessi tradiscono gli affetti senza mai realmente pentirsene.

Commettere un errore a sedici anni è lecito e ribellarsi per imporsi al mondo è sano, in certe misure, ma Baby, senza neanche accorgersene, legittima ribellioni false e causate da motivazioni barcollanti. Le storie di ribellione giovanile al cinema, o sul piccolo schermo, non sono di certo una novità, pensiamo a tutto il cinema americano degli anni ’70.

Quello che però rende una storia credibile non è ovviamente la capacità dell’eroe di non commettere errori. Gli anti-eroi sono per antonomasia più ricchi di sfaccettature e interessanti, anche perché spesso perdono ma imparano qualcosa di grande.

Baby non funziona perché abbiamo la sensazione nessun personaggio impari niente, né di giusto, né di sbagliato. Il dubbio è che tutti restino a galleggiare nel solito mondo fatto di menzogna. Per questo ci aspettavamo qualcosa di più.

Baby ha debuttato su Netflix in 190 paesi. Nel cast Benedetta Porcaroli, Alice Pagani, Riccardo Mandolini, Brando Pacitto, Mirko Trovato, Claudia Pandolfi e Isabella Ferrari.

Avete già visto Baby su Netflix?