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Heineken Jammin Festival 2012: diario del terzo giorno (7 Luglio)

scritto da Alice Ziveri

La giornata finale del 7 Luglio è senza dubbio la più calda dell’Heineken Jammin’ Festival 2012. Il cemento dell’Area Fiera di Rho brucia, e il lunghissimo prato sintetico sembra sempre più vuoto: cosa ben strana, data la succulenta line-up che si prospetta per oggi. The Parlotones, Crystal Castles e, soprattutto, New Order e The Cure non sono certo nomi che lasciano indifferenti. Il sospetto è che, semplicemente, la maggior parte della gente abbia preso la saggia decisione di rifugiarsi nelle zone d’ombra e aspettare che il sole diventi un po’ meno assassino. I vaporizzatori, ieri deserti, oggi vengono presi d’assalto. Non ho fatto caso se ci sono ancora i ragazzi che distribuiscono ghiaccioli al limone gratis, ma se ci sono di sicuro oggi saranno i migliori amici di tutti.
Il primo a salire sul palco è l’unico italiano di quest’anno, Il Cile: il giovane cantautore aretino ha iniziato a farsi conoscere dal grande pubblico nel corso di quest’anno, e già si trova ad affrontare un palco di questa importanza. Un set di circa 20 minuti con cinque canzoni, fra cui i suoi primi due singoli, tutte caratterizzate da testi molto particolari e ricercati: Tu che avrai di più, Il mio incantesimo, SIamo morti a vent’anni, Cemento armato e La lametta.
A seguire, un’altra band sudafricana, dopo i Seether di ieri: sono i The Parlotones. Poco meno di un’ora di live per Glenn e Paul Hodgson, Neil Pauw e Kahn Morbee, che sfoggia il suo tipico look da Alex di Arancia Meccanica.
Si ritorna all’elettonica con i Crystal Castles: prima di loro arriva una quantità di fumo inverosimile e la voce perforante di Alice Glass. Dopo un bel 10 minuti di nebbia, finalmente il fumo si dirada e vediamo comparire la cantante canadese con il suo caschetto lilla e occhiali da sole neri. Dopo pochi minuti di show si è già buttata fra la folla, uno dei suoi sport preferiti. Il set di Alice Glass e Etahn Kath si apre con Plague e comprende undici pezzi, fra i quali i ben noti Alice Practice e Celestica. Per qualche motivo durante lo show dei Crystal Castles i megaschermi decidono di non funzionare più. Ma si riprendono con i New Order: è ormai tardo pomeriggio, e il sole piano piano tramonta dietro al palco dell’HJF, accompagnato dai suoni trasognanti delle tastiere e del sintetizzatore. Per rivivere appieno quell’atmosfera da anni ’80, sullo schermo scorrono immagini pop dai colori fluorescenti. I maggiori successi dei New Order, come Blue Monday e Ceremony, si alternano a omaggi alla musica dei Joy Division: Isolation, Temptation e, per chiudere con un tocco di classe, Love Will Tear Us Apart.
I grandi attesi, però, sono loro: i The Cure. Non capita tutti i giorni di poter ascoltare dal vivo una band storica. L’ingresso sul palco di Robert Smith fa letteralmente esplodere di felicità il pubblico. Qualcuno mormora “Sono 15 anni che aspetto questo momento”. Anche se l’età è avanzata, lui ha sempre i capelli cotonati, ha sempre il kajal nero intorno agli occhi, quel rossetto rosso fuori dai contorni e la camicia nera larga; il look dark/gotico che l’ha contraddistinto fin dal 1976, e che si riflette in tante persone del pubblico nel parterre. Ha anche, sempre, la stessa bellissima voce. Quella voce struggente e romantica, quel timbro quasi ultramondano, inconfondibile, per il quale il tempo sembra non essere mai passato. Tre ore nette di live, una scaletta lunghissima che non si fa mancare le canzoni più amate, come Lullaby, Pictures of You, Just Like Heaven, Friday I’m In Love, Sleep When I’m Dead, Lovesong, A Forest, Close To Me e, per il gran finale, Boys Don’t Cry. E’ bello vedere che tutta la gente accorsa per vedere questo concerto vive con intensità ogni momento, canta, balla, applaude, assapora ogni nota, non toglie gli occhi di dosso a quell’uomo che è una leggenda della musica. Nell’aria c’è qualcosa di magico. Anche lui si gode l’affetto del pubblico italiano, elargendo “gratzi” a non finire. Una serata memorabile.

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 Photo Credit: Prandoni + HJF Facebook