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Perchè Tokio Hotel è il contrario di emo

scritto da Alice Ziveri

Si è parlato di emo, ieri a Domenica 5. Sembra essere l’argomento del mese: emo, scene queen, alternativi, comunque li si voglia chiamare.
A quanto pare gli "emo" non esitono più, adesso ci sono delle digievoluzioni ramificate di quella che fu la specie originaria. Ad ogni modo, per chi ne sta fuori è indifferente la denominazione, ed è impossibile (e anche poco interessante) capire quanti anelli al naso serva avere per essere chiamato X e non Y. Ragazzi e ragazze giovani, con capelli sapientemente piallati – pardon, piastrati, trucco pesante, piercing e un abbigliamento molto nero o molto in technicolor: ci siamo capiti.
In seguito ad un servizio-shock de Le Iene si è parlato molto di quanto le abitudini di questo giro di persone siano salutari: autolesionismo, alcool, droghe, sesso prematuro, promiscuità. Valori che sembrano non andare più in là di bellezza e popolarità, atteggiamenti di arroganza e superbia che vengono esaltati e premiati.
E’ chiaro che in ogni corrente alternativa c’è sempre chi decide di aderire al ruolo dalla A alla Z, e chi ne fa solo una questione di look e poco altro – il che, in questo caso, non sarebbe altro che un bene – ma ormai l’immaginario legato alle parole emo e scene queen è fatto di tutto ciò che di più contro educativo e malsano possa balzare alla mente.

Associazione sbagliata

Non sono qui a fare la moralista, a sparare a zero sulle extension platinate o a suggerire misure rivoluzionarie per risollevare le sorti della gioventù bruciata. Non è mio compito e non ne sarei in grado.Qui però è stata sbandierata, per l’ennesima volta, e in questo caso nel bel mezzo di una trasmissione della domenica pomeriggio seguita da non poche mamme, zie e nonne, un’associazione sbagliata fondata su un pregiudizio ormai vecchio e, purtroppo, difficile da estirpare.
L’associazione fra tutto l’immaginario negativo di cui si diceva prima, e i Tokio Hotel.
Il dibattito in casa D’Urso si è aperto con un servizio che citava proprio loro come "band di riferimento" di emo / scene queen / qualunque sia il loro nome, ed è continuato con le loro canzoni di sottofondo mentre scorrevano immagini di feste in discoteca abbastanza accalorate e mentre giovani appartenenti a questo ambiente sciorinavano, ridacchiando e biascicando un "cioè" ogni due parole, quanto situazioni di questo genere siano per loro la normalità.
Ora, io mi metto nei panni della mamma / zia / nonna di una ragazzina di 15 anni, con la cameretta tappezzata dalle facce di Bill e Tom Kaulitz, che guarda questo servizio: quante si metteranno a ridere capendo la stupidità della cosa, e quante sentiranno suonare il campanello d’allarme?

Quattro ragazzi pieni di vita

Non so come sia nato questo malinteso diffuso che i quattro tedeschi abbiano qualcosa a che fare con il mondo emo. Forse i capelli neri e il trucco scuro di Bill hanno avuto la loro parte, ma direi che non serviva nemmeno scavare poi tanto in profondità per capire che i Tokio Hotel sono tutt’altro che quel mondo.
Vorrei che i denigratori venissero fuori dalle arene il giorno di un concerto, ci troverebbero ragazze e ragazzi, bambini, adolescenti e adulti, studenti e lavoratori, ci troverebbero una varietà di colori, forme e generi innumerevoli. Troverebbero un pubblico eterogeneo, in cui sicuramente c’è anche qualcuno con i capelli piastrati e i leggings leopardi, ma non sono l’esclusiva né la maggioranza e, soprattutto, una cosa non dipende dall’altra.
Quell’universo emo, a cui si faceva riferimento nella trasmissione, è indubitabilmente uno scenario negativo.
Io in quei quattro ragazzi non posso che vedere valori positivi.
Non sono dei guru di filosofia e non pretendono di cambiare il mondo, certo.
Ma sono quattro ragazzi giovani che con l’impegno, la perseveranza, la passione e sì, un pizzico di fortuna, hanno portato avanti un sogno, e con determinazione sono arrivati a realizzarlo. Un sogno sano, pulito, fatto di note e corde di chitarra, un sogno che si chiama musica. Sono quattro persone che mettono il cuore e l’anima in quello che fanno, che si impegnano con la massima serietà e non smettono mai di volere imparare. Rispettosi, umili e educati, a detta di chiunque ci abbia lavorato, non ultimo il direttore d’orchestra che li ha accompagnati a Sanremo. Quattro ragazzi con personalità forti e che sanno pensare con la propria testa, che non si lasciano condizionare dagli insulti gratuiti, che sanno fare autocritica, ambiziosi ma non avidi, creativi, pieni di entusiasmo e voglia di fare, pieni di vita.
Questo è quello che trasmettono. E no, non sto dicendo che siano dei Messia arrivati in Terra. Sono quattro ventenni normali che ridono, scherzano e giocano come tutti i ventenni, che nei limiti concessi dallo loro status di notorietà escono, vedono amici, portano a spasso i cani. Ma sono anche quattro ventenni da cui molti, giovani e meno giovani, famosi e non famosi, avrebbero qualcosa da imparare.
E le loro canzoni parlano di seguire i propri sogni, di essere sè stessi, di speranza e di amore in tutte le sue forme.
Non vedo come si possa dire o pensare che qualcosa in loro possa istigare o suggerire certi comportamenti nocivi. Lo trovo offensivo nei loro confronti e, che la loro musica e le loro facce piacciano o meno, non se lo meritano.
E non se lo meritano tutte le ragazzine che in questo momento stanno litigando con la mamma / zia / nonna, cercando di farle capire che quello che dice Domenica 5 non è oro colato.