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Facebook Gate: una semplice spiegazione del caso Cambridge Analytica

scritto da Alberto Muraro

Facebook, la piattaforma social fondata da Mark Zuckerberg, è nelle ultime ore al centro di un gigantesco polverone mediatico. Il social network di Menlo Park, a quanto pare, avrebbe (inconsapevolmente?) messo a repentaglio la privacy di milioni di suoi utenti, fornendo dati dettagliati ad aziende terze senza il loro consenso. E con aziende terze parliamo di governi e capi di stato. Ma andiamo con ordine.

Tutto nasce con un’intervista, a dir poco scottante, da parte di Christopher Wylie al The Guardian. Il giovane è un ex dipendente della Cambridge Analytica, società che ha come scopo quello di raccogliere dai social network un’enorme quantità di dati sui loro utenti. I dati così raccolti vengono successivamente forniti ad aziende, idealmente per ricerche di mercato. Ma in realtà dietro ci sarebbe molto, molto di più.

Facciamo un ulteriore passo indietro. Avete presente le divertenti app come “scopri che aspetto avresti se fossi una star di Hollywood?”? Perfetto, dovete sapere (ma in realtà dovrebbe essere scontato, visto che ne accettate termini e condizioni) che questi simpatici giochini raccolgono su di voi innumerevoli quantità di dati personali. La vostra età, i vostri interessi, le vostre foto. Tutto.

 

Nel 2014, in questo senso, un ricercatore dell’Università di Cambridge, Aleksandr Kogan, realizzò un’applicazione simile, chiamata thisisyourdigitallife che prometteva di dare vita a profili psicologici e addirittura di prevedere il comportamento social dei propri utenti. Furono in 270 mila a scaricare il giochino, dando a Facebook il diritto di utilizzare i loro dati e, udite udite, anche quelli di tutti i loro contatti. Il New York Times ha stimato che, con questo sistema, Facebook sarebbe entrato in possesso dei dati personali di circa 50 milioni di persone.

Fino a qui, in ogni caso, tutto regolare. Il problema è giunto quando le condizioni sulla privacy di Facebook sono cambiate e Kogan, senza farsi troppi scrupoli, ha rivenduto i dati ottenuti alla società Cambridge Analytica. Quest’ultima, secondo le più recenti indagini, avrebbe poi a sua volta fornito le informazioni ottenute al governo russo per supportare online la propaganda a favore del presidente USA Donald Trump, eletto nel novembre del 2016.

In pratica, sembra proprio che in base a questi dati siano stati creati decine di account falsi e “bot” per diffondere post online e fake news contro Hillary Clinton. Qualcosa di molto simile sarebbe avvenuto durante la campagna pro Brexit. Nel maggio del 2017 il Guardian aveva già dedicato una lunga inchiesta a Cambridge Analytica e al suo ruolo nella campagna referendaria per Brexit. Secondo l’articolo, la società (simpatizzante per la destra conservatrice) era in contatto con i principali sostenitori del “Leave” compreso il leader del partito populista UKIP, Nigel Farage.

Il punto è che, secondo le ultime indiscrezioni, i vertici di Facebook erano effettivamente al corrente di quanto stava accadendo, o che perlomeno avevano chiuso più di un occhio a riguardo.

Nel bel mezzo della tempesta, Zuckerberg è stato convocato dall’Unione Europea per discutere della delicata questione, del ruolo di Facebook e, soprattutto, dell’importanza di tutelare la privacy dei suoi milioni di utenti. Nel frattempo, come forse ci si sarebbe potuti aspettare, il titolo di Facebook in Borsa è crollato. Nella sola seduta di lunedì 19 marzo, l’azienda ha bruciato ben 36 miliardi di dollari.

 

Che cosa ne pensate del Facebook Gate e del caso Cambridge Analytics?