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Nomadland: la recensione del film candidato agli Oscar

scritto da Federica Marcucci
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Candidato a 6 Premi Oscar, Nomadland di Chloé Zhao è un viaggio ciclico nell’America della vecchia frontiera in cui la protagonista si perde per ritrovarsi.

Nomadland sarà disponibile su Disney+ a partire dal 30 aprile.

La trama di Nomadland

Dopo il collasso economico di una città aziendale nel Nevada rurale, Fern (Frances McDormand) carica i bagagli sul proprio furgone e si mette in strada alla ricerca di una vita fuori dalla società convenzionale, come una nomade moderna.

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Ci vediamo lungo la strada…

C’è una vecchia canzone popolare americana che dice “Give me land, lots of land under starry skies above/Don’t fence me in/Let me ride through the wide open country that I love/Don’t fence me in” (Dammi terra, tanta terra sotto un cielo stellato/Non mi rinchiudere/Fammi guidare attraverso l’ampia campagna che amo/Non mi rinchiudere). Un paio di strofe che riescono a racchiudere il senso di un’epopea contemporanea dal sapore antico.

Fern è infatti è molto simile agli antieroi dei vecchi western e del cinema americano degli anni ’70. Non può scollarsi della società che l’ha in qualche modo rifiutata e in cui non riesce a trovarsi a suo agio, ma allo stesso tempo non può fare a meno di galleggiarci dentro. Un po’ come il personaggio di John Wayne nel classico Sentieri selvaggi o quello di Jack Nicholson in Cinque pezzi facili che, come Fran, mollava tutto per iniziare una nuova esistenza da nomade.

Il viaggio di Fern è infatti qualcosa che non finisce. È la vita stessa che si snoda attraverso i paesaggi sterminati dell’Ovest americano per una donna che ha scelto di condurre un’esistenza raminga, ma cadenzata da un ritmo regolare come le stagioni. Le stesse che dettano i ritmi dei suoi lavori stagionali e dei suoi stessi spostamenti.

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Tra racconto e inchiesta

Nomadland è non a caso film diverso dal solito perché riesce a trovare il giusto equilibrio tra racconto di finzione e cinema di inchiesta. Non è un documentario perché il personaggio di Fran non è reale, tuttavia alcune delle persone che lei incontra lungo la strada (Linda May, Swankie e Bob Wells) sono davvero dei nomadi.

Sotto questo punto di vista la regista Chloé Zhao è riuscita a dare vita a un linguaggio ibrido molto affascinante, in cui riesce a cogliere le sfumature di un’America selvaggia e di confine che raramente vediamo al cinema. Forse è per questo che la grande forza di Nomadland è, se vogliamo, anche la sua debolezza.

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A tratti il film soffre di quella potenza immaginifica che solo i racconti riescono ad avere, restando in bilico. Nonostante tutto la regista, da sempre affascinata e appassionata di cultura occidentale, ci regala dei momenti di pura poesia come la sequenza in cui Fran si perde tra le sequoie secolari della California o sfoglia vecchie diapositive di famiglia sulle note di una canzone di Not King Cole, Answer Me, My Love.

Piccoli ma significativi dettagli che, oggi più che mai, ci ricordano che non occorre essere americani per inserirsi nella tradizione del cinema americano.