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Why don’t we: la recensione di The good times and the bad ones

scritto da Alberto Muraro

Abbiamo avuto pazienza ma alla fine l’attesa è stata ripagata! Tornano quest’oggi, 15 gennaio, i Why don’t we con il loro secondo album The good times and the bad ones!

Jack Avery, Corbyn Besson, Zachary Herron, Jonah Marais e Daniel Seavey, a due anni di distanza da 8 letters ci hanno regalato il progetto discografico che ci meritavamo. Un concentrato di energia pop rock, romanticismo e di grinta della quale avevamo disperatamente bisogno.

La recensione di The good times and the bad ones dei Why don’t we

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Gli elementi che hanno contraddistinto le canzoni dei Why don’t we li ritroviamo tutti. In questo senso, The Good Times and The bad one rappresenta una consolante certezza in un mondo fin troppo buio.

L’album si apre con la carica del singolo di lancio Fallin, aperto da un geniale sample della trascinante Black Skinhead di Kanye West.

I BPM si abbassano subito con le prime ballad e uptempo dell’album. Si comincia con la nostalgica Slow Down, dove i ragazzi cercano di mettere i paletti ad una relazione che, in realtà, dovrebbe rallentare un attimo.

why don't we

 

L’amore e le relazioni con l’altro sesso sono al centro di praticamente tutte le altre canzoni. In ogni brano i Why Don’t we parlano di un sentimento totalizzante, che toglie il respiro e fa venire la pelle d’oca. Questa ossessione la ritroviamo in Love Song, nella quale i Why Don’t we raccontano del bisogno spasmodico di scrivere canzoni romantiche per una persona per la quale hanno perso la testa.

Il filo conduttore del disco sono proprio le luci e le ombre di un sentimento che ci colpisce tutti, prima o poi. A volte ci fa soffrire (I’ll be okay), altre ci riempie di sogni, altre ancora di un’infinita nostalgia. Con una scrittura semplice, diretta e con delle melodie che entrano in testa fin al primo ascolto, i Why don’t we hanno colto nel segno ancora una volta.

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