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Everything, Everywhere, All at Once recensione del film dei The Daniels

scritto da Federica Marcucci
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Arriva oggi nelle sale italiane distribuito da I Wonder Everything, Everywhere, All at Once film diretto dal geniale duo dei The Daniels che è già diventato un fenomeno cult negli Stati Uniti e in tanti altri paesi del mondo. Colorato e irriverente quanto profondo e originale, il film ci mostra un multiverso che potevamo solo immaginare. Almeno fino a oggi.

Di che cosa parla Everything, Everywhere, All at Once

Evelyn Wang (Michelle Yeoh) gestisce una piccola lavanderia a gettoni, ha una figlia adolescente che non capisce più, un padre rintronato e un matrimonio alla frutta. Un controllo fiscale di routine diventa inaspettatamente la porta attraverso cui Evelyn viene trascinata in una avvincente e coloratissima avventura nel multiverso più innovativo e divertente mai visto al cinema. Chiamata a salvare il destino degli universi, dovrà attingere a tutto il suo coraggio per sconfiggere un nemico all’apparenza inarrestabile e riportare l’armonia nella sua famiglia.

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Everything, Everywhere, All at Once ovvero multiverso è un concetto di cui sappiamo spaventosamente poco…

Da quando la Marvel ha deciso di puntare sul concetto di Multiverso questa accezione sta iniziando a incuriosire sempre di più il pubblico. Tuttavia questa idea non è nata ieri e basta andare indietro nel tempo: basti pensare al recente Spider-Man: Un nuovo universo, ma anche a film come Mr. Nobody con Jared Leto, Sliding Doors oppure Mulhooland Drive per rendersi conto di quanto questo concetto affascini ormai da diverse decine di anni i cineasti.

Il film dei The Daniels è per certi versi figlio di questo immaginario, soprattutto dei grandi blockbuster anni ’80 dai quali hanno preso in prestito anche Ke Huy Quan, noto al grande pubblico per i suoi ruoli ne I Goonies e in Indiana Jones e il tempio maledetto, donando all’attore un rinnovato successo grazie a Waymond, un personaggio capace di rimanere nel cuore per la sua capacità di guardare al mondo con semplicità (oltre che con adesivi a forma di occhi).

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Allo stesso tempo però il film costruisce sin dalle prime battute un’identità propria molto forte, raccontando una storia folle ma in cui chiunque si possa ritrovare.

Everything, Everywhere, All at Once è infatti una storia che parla di caos interiore ed esteriore. Ma allo stesso tempo è un racconto che parla di occasioni mancate, di rimpianti, della gioia delle piccole cose, del concetto di identità, così come della famiglia, del rapporto di coppia e del rapporto madre figlia.

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Ed è proprio attraverso la dinamica tra la protagonista Evelyn e sua figlia Joy che il film trova la sua via per arrivare a parlare a più di una generazione di cinefili. Se infatti Evelyn è una signora di mezza età di origine cinese la quale sente di aver sbagliato tutto nella vita non riconoscendosi nel ruolo che le è stato dato e sognando vite diverse grazie alle sue mille passioni, Joy è una ragazza inquieta che vorrebbe nascondersi dal caos del mondo ma allo stesso tempo vorrebbe veder riconosciuta da sua madre la sua identità e individualità. Magari attraverso la presentazione della sua ragazza all’anziano nonno appena arrivato dalla Cina (James Hong).

In questo Michelle Yeoh e Stephanie Hsu sono bravissime a tratteggiare due personaggi diversi (ma neanche troppo) e allo stesso tempo complementari.

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Everything, Everywhere, All at Once non ha paura di ricordarci che siamo incasinati, ma anche che siamo e possiamo essere tante cose insieme – anche delle rocce o persone con würstel al posto delle dita, e va bene così. È un film che parla di persone semplici, eroi quotidiani che cercano di trovare il proprio posto nel mondo barcamenandosi nel caos della vita. Dal rapporto con genitori figli, a quello con il partner, fino a quello con l’impiegata dell’ufficio imposte che da oggi ci immagineremo tutti con le fattezze di Jamie Lee Curtis.

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