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Intervista a Fernanda Pivano

scritto da admin

“Internet è meglio dei brutti libri che pubblicano adesso”

Fernanda Pivano è una traduttrice, nel senso letterale del termine: “colei che trasporta al di là”. Cioè qua, in Italia, dove ha fatto conoscere la letteratura americana, della prima e seconda metà del Novecento, facendocela apprezzare attraverso le sue traduzioni.

E non si è accontentata di studiarli, lei li ha voluti incontrare di persona, e si è voluta far conoscere dagli scrittori che hanno reso mitico un periodo della narrativa americana, tra i quali i leggendari esponenti della Beat generation.

Con la sua testimonianza oculare e i racconti appassionati, ha fatto respirare all’Italia la ventata di libertà che spirava oltreoceano e arrivava nel nostro Paese alimentando il sogno americano nell’Italia del dopoguerra. Ma prima dell’America, di Hemingway, dell’età del Jazz e del jukebox, c’era una studentessa un po’ annoiata.

Che cosa sognava Fernanda Pivano seduta tra i banchi del Liceo Classico D’Azeglio di Torino?
Allora ero una ragazzina di una famiglia ancora ricca, non rovinata dai fascisti. Non facevo sogni per il mio futuro, a quei tempi per le donne il futuro era sposarsi e avere dei bambini. Ma io non volevo né sposarmi, né avere figli. Da giovane ero carina, non pensi che ero come ora, e mi facevano la corte. Ma quando ero giovane io ero soprattutto disperata della mia ignoranza.

Un giorno arrivò un supplente…
Nel mio liceo venne a insegnare Cesare Pavese.  Era un allievo del professor Augusto Monti, che oltre a lui designò come supplente Norberto Bobbio.

Che cosa voleva dire avere come professore Cesare Pavese?
Era diverso dagli altri: lui ci faceva leggere i canti di Dante e ce li spiegava, gli altri insegnanti ce li facevano solo imparare a memoria. Ricordo, come se fosse ieri, le lezioni su Guinizelli. Lui era talmente innamorato della trasformazione artistica di questo autore che spiegandocelo ci lasciava senza fiato. E io mi sono appassionata, in modo forse sproporzionato, agli autori che Pavese leggeva. Li leggeva ad alta voce, in modo incantevole, fino a farli entrare nel cuore.

È vero che all’esame di maturità non passò lo scritto?
Sì, io e il mio compagno di scuola Primo Levi. Era venuto un professore di provincia, tutto vestito di bianco con un grosso stemma fascista appuntato sulla giacca. I nostri temi avevano un contenuto antifascista.

Questo fatto mi creò una profonda crisi perché io come una scema credevo nella scuola. In quell’occasione imparai a conoscere veramente la scuola italiana.

Dopo la laurea in Lettere con tesi su Moby Dick, lei tradusse l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, pubblicata da Einaudi nel 1943. Cosa la spinse a farlo?
La passione. Pavese mi aveva dato quattro libri per farmi capire la differenza tra la letteratura americana e la letteratura inglese. Questi libri erano: Addio alle armi di Ernest Hemingway e l’antologia di poesie di Masters, e altri due libri che è inutile citare solo per riempire la pagina di corsivi. A innamorarmi di Hemingway ci ho messo mezzo minuto. Un autore che i nostri professori non seppero accettare. Adesso lei mi dovrebbe chiedere perché mi sono innamorata dell’Antologia di Spoon River. Facciamo finta che me lo abbia chiesto.

Perché nel cinismo che attraversava l’America materialistica di quel tempo offriva fiducia e serenità nell’amore, nella lealtà e nella vita vera. Una fiducia che la situazione di quel periodo ci aveva tolto dalle mani, non dal cuore. Quella non era la vera America.

Cosa possiamo scoprire in quel libro?
Si può scoprire ciò che può aiutare l’anima dei giovani a cavarsela nelle traversie della vita.

Lei una volta ha detto che fu colpita dalla «rivoluzionaria tenerezza»  dei versi di Masters. Si può fare una rivoluzione con la tenerezza?
Certo! È una rivoluzione moderna. Io nella violenza non ho mai creduto, seguo il suggerimento buddista.

Signora Pivano, lei non si è accontentata di tradurli. Li ha conosciuti, si è fatta conoscere a loro e ci usciva pure insieme ai mitici Hemingway, Kerouac, Bukowski…
E Fitzgerald! E Fitzgerald!

Era divertente passare il tempo con questi scrittori?
Parlare di divertimento per scrittori impastati di tragedia è difficile. Ci si divertiva poco. Ci si diverte con i padroni di un’osteria, io non ho mai avuto tempo di divertirmi.  (A dispetto di ciò, nelle foto che la ritraggono, Fernanda Pivano mostra sempre un volto solare e un sorriso radioso). Ho studiato, studiato, studiato.

Una curiosità: durante la presentazione dell’ultimo libro di Gore Vidal a Milano, lei ha sorseggiato Coca-Cola per tutto il tempo. È una bevanda che le piace particolarmente?
No, è una scelta casuale, per bere qualcosa. È un simbolo dell’America, io ne ho conosciuti di più importanti.

Uno sguardo sulla società di oggi. Oggi i ragazzi non leggono molto nel tempo libero, lei come spiega questo disinteresse?
Quei brutti libri che pubblicano adesso! I ragazzi preferiscono guardare Internet che è fatto molto bene. E quello che i professori fanno a scuola non interessa.

Ma come si fa, allora, a iniziarli alla letteratura?
Guarderei insieme a loro Internet, mi farei guidare da loro, cercando di capire cosa gli interessa. E poi cercherei un autore classico in rete. Internet come fonte d’informazione è straordinario.

 [Al momento di salutarsi] Sa, io studio Lettere.

Vivrà senza guadagnare una lira. A meno che non incontri un Pavese.

Intervista tratta da Pillbox

 

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