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Binetti spiega i termini

scritto da admin

– Può spiegare alle nostre lettrici alcuni termini che sentiamo spesso in
tv riferiti al caso di Eluana, ma su cui si fa spesso confusione?
1) Cosa significa “essere in stato di coma vegetativo”?

È una condizione funzionale del cervello, che insorge subito dopo l’evento acuto che lo ha determinato, creando una condizione di grave disabilità neurologica, potenzialmente reversibile, che è caratterizzato dalla mancanza di consapevolezza di sé e dell’ambiente; dal fatto che non sono evidenti risposte comportamentali intenzionali o volontarie a stimoli visivi, uditivi, tattili o dolorosi;
non sembra che ci sia comprensione o produzione verbale; c’è una intermittente vigilanza che si manifesta con la presenza di cicli sonno-veglia (ad es. periodi di apertura spontanea degli occhi); c’è una sufficiente conservazione delle funzioni che consentono la sopravvivenza con adeguate cure mediche; c’è una variabile conservazione dei nervi cranici e dei riflessi spinali.

2) E’ possibile risvegliarsi da un coma definito “permanente” o
“irreversibile”?
La definizione di stato vegetativo permanente è molto discussa e oggi si preferisce utilizzare il termine di stato vegetativo persistente, dal momento che il concetto di permanenza, applicato allo stato vegetativo, “non ha valore di certezza, ma è di tipo probabilistico”. Pur essendo le possibilità di recupero sempre minori con il passare del tempo dall’insulto cerebrale, oggi il concetto di stato vegetativo permanente è da considerarsi superato e sono documentati casi, benché molto rari, di recupero parziale di contatto con il mondo esterno anche a lunghissima distanza di tempo. È pertanto assurdo poter parlare di certezza di irreversibilità. Sappiamo che vi sono pazienti che riemergono dopo oltre un anno dal trauma e perciò il termine (di permanente) e intrinsecamente inesatto, sia dal punto di vista linguistico che dal punto di vista della realtà medica. Molti professionisti temono che la terminologia sia una sorta di autoprofezia per l’abolizione e/o la diminuzione che essa produce nell’interesse a studiare un fenomeno etichettato aprioristicamente come irreversibile.

3) Cosa significa “accanimento terapeutico” e come mai le cure mediche
riservate ad Eluana non sono considerate tali?

La posizione di molti medici e scienziati sulla nutrizione e sulla idratazione è molto chiara: non si tratta di trattamenti medici, ma di puro e semplice sostegno vitale, anche se chi lo prescrive, lo somministra e lo monitorizza è un medico o chi per lui. La vita, ogni vita!, a cominciare dalle forme più semplici, necessita di nutrimento per continuare a vivere: sospenderlo crea una relazione diretta di causa ed effetto con la morte. Finché il paziente assimila ciò che assume vuol dire che c’è, con un suo ruolo ed un suo compito; evidentemente se cessasse questa capacità qualunque ulteriore somministrazione di cibo potrebbe diventare una forma di accanimento terapeutico, o –detto in altro modo- un intervento sproporzionato, inutile e in breve tempo dannoso. Gli inglesi per definire ciò che noi chiamiamo accanimento terapeutico utilizzano un termine molto chiaro: parlano di interventi “Futili”, inutili…  Esiste quindi un criterio evidente per capire quando porre fine alla nutrizione assistita: quando cessa la capacità di assimilarla, ma finché il malato è in grado di assimilare allora al medico, alla scienza e alla tecnica, si chiede di fare di tutto per garantire al paziente quanto gli serve per vivere.

4)Quando è lecito interrompere le cure a un paziente in stato vegetativo?

Un punto importante per evitare fraintendimenti è una adeguata precisazione sul fatto che alimentazione e idratazione, che oggi la scienza e la tecnica possono mettere a nostra disposizione in molti modi diversi, non sono terapie ma forme di sostegno vitale. Sono molteplici le condizioni della vita in cui una persona può dover fare ricorso ad una nutrizione e ad una idratazione tecnologicamente assistite, per meglio garantire la vita e la qualità di vita del soggetto. L’alimentazione e l’idratazione costituiscono atti eticamente e deontologicamente doverosi, così come per ognuno di noi l’alimentazione e l’idratazione sono atti indispensabili per assicurare la nostra sopravvivenza. nella misura in cui, essendo proporzionati alle condizioni cliniche, contribuiscono ad eliminare le sofferenze del malato terminale. E’ attraverso l’idratazione infatti che giungono al paziente la maggioranza delle cure palliative, e senza idratazione il paziente andrebbe incontro ad ulteriori e gravi sofferenze. La loro omissione potrebbe infatti costituire un’ipotesi di eutanasia passiva, che nello spirito della presente legge va totalmente scongiurata.
I pazienti in coma debbono poter essere accolti nelle Unità di terapia intensiva più aggiornate, per trovare il più tempestivamente possibile tutte le cure di cui hanno bisogno se si vuole aiutarli ad uscire dal coma. Ma se e quando il coma si prolunga nel tempo, allora i familiari debbono poter contare su strutture di eccellenza, in cui il riferimento alla dignità del paziente e la tutela della sua vita hanno a disposizione le risorse necessarie, a cominciare da quelle che intrecciano il volto più umano della medicina, ricca di pietas e di solidarietà, con il volto altrettanto umano di chi crede che dalla scienza possano ancora giungere nuove risposte e nuove soluzioni, perché ciò che sappiamo dei comi è ancora troppo poco. Nessuna strumentalizzazione di questi malati! Anzi un gesto ulteriore di rispetto e di servizio perché nessuno si dimentichi di loro e nessuno li abbandoni, perché tra le varie forme di abbandono c’è anche quella con cui a scienza abdica al suo dovere di cercare incessantemente soluzioni nuove per problemi non ancora risolti…