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Pam & Tommy: la recensione della serie di Disney+

scritto da Federica Marcucci
pam & tommy

Privacy e consenso si intrecciano in Pam & Tommy, serie targata Disney+ che sta continuando a far parlare di sé. Diretta da Craig Gillespie, già regista di Tonya e Cruella, la serie – di cui al momento sono stati rilasciati i primi 5 episodi si concluderà il 9 marzo ci riporta indietro negli anni ’90 quando il web era un terreno inesplorato e il concetto di privacy era ancora tutto da scrivere.

 

Nonostante tutto la vicenda di Pam & Tommy è attualissima non solo per ciò che racconta ma anche (e sopratutto) per le controverse implicazioni che ha sviluppato con il reale.

Ma riavvolgiamo il nastro…

Chi è cresciuto negli anni ’90 si ricorderà bene del fascino suscitato da Pamela Anderson in Baywatch ma anche del caratteristico suono della connessione a internet: qualcosa che nella serie ha già dei tratti mitici, nonostante siano passati poco più di 20 anni.

In quegli anni Pamela spopola in tv e la sua chiacchierata love story con il batterista dei Mötley Crüe viene data costantemente in pasto ai tabloid. Sopratutto quando un operaio insoddisfatto ruba poi cerca di vendere un sex tale della coppia, chiaramente destinato a uso privato.

Queste le premesse di Pam & Tommy che, nel pieno stile del regista, non sceglie di fare una cronaca della realtà ma di raccontarla attraverso una lente distorta, esagerata. Come del resto erano gli anni ’90: esagerati.

Il punto di partenza per la realizzazione della serie non è un memoir o simili, ma un articolo di giornale pubblicato su Rolling Stone nel 2014: materiale poi rielaborato ma anche approvato dallo stesso Tommy Lee che ha partecipato alla produzione affiancando Sebastian Stan (che nella serie veste i suoi panni). Restando fedele alla vecchia idea secondo cui il filmato portava fama e gloria.

Non si può dire lo stesso di Pamela Anderson, da sempre contraria alla realizzazione della serie e che in tutti i modi ha cercato di evitare quello che lei stessa definisce come il periodo più oscuro della sua vita.

Da qua gli innumerevoli (e pertinenti) discorsi sulle problematicità di una serie che parla di privacy e consenso ma che, a sua volta, non ha domandato il consenso. Un discorso interessante ma su cui non vogliamo soffermarci, dal momento che è stato approfondito molto bene da altri.

pam & tommy

Ri-elaborare la realtà

Con tutte le sue implicazioni, Pam & Tommy non è un documentario. Non si pone neanche l’obiettivo di restare fedele alla realtà – anche se alcuni momenti del sex tape sono stati ricreati basandosi sull’originale. Anche la dinamica relazionale tra i due protagonisti è diversa, non dimentichiamoci infatti che Tommy Lee è stato accostato di violenza domestica e che, nonostante i due ci abbiano in seguito riprovato, il loro non era di certo l’idillio del secolo.

Premesso ciò, la rielaborazione di questa particolare realtà acquisisce un suo senso nel momento in cui la collochiamo in una riflessione più ampia che chiama in causa il nostro presente. Il web è cambiato e con esso i dispositivi con cui giriamo i video. Nonostante ciò il discorso su privacy, consenso e revenge porn è più attuale che mai.

Questo perché, probabilmente, pur essendo cambiate le regole la partita è ancora in corso: sopratutto oggi in cui l’esposizione mediatica di chiunque, anche persone non famose, si è amplificata ma la morbosità (e la noncuranza) di molti pare crescere di conseguenza.

Eccezion fatta per qualche momento sul trash andante, Pam & Tommy è una serie ben fatta e dal trascinante che deve essere vista sopratutto per il grande lavoro dei suoi interpreti: in primis Lily James, che ci ha spiazzato praticamente in ogni episodio.