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Dipendenza da shopping:

scritto da admin

Eh già, perché le cause devono essere ricercate nella nostra mente, nei nostri affetti, e, soprattutto, nei nostri “bisogni”; quello insomma che gli psicologi definiscono “disturbo compulsivo”.

«Ci sono varie teorie alla base di questo tipo di impulso – spiega la dott.ssa Simona Cappelli, psicanalista – teorie che possono essere ricondotte al desiderio irrefrenabile di colmare vari bisogni che possono spaziare da quello alimentare a quello affettivo, toccando anche quello sessuale.

Per le persone affette da questa dipendenza, comprare qualcosa significa farlo con la convinzione di colmare un’angoscia di fondo.»

D: «Un’angoscia di fondo, però, scaturisce sempre da qualcosa: cosa c’è a monte di questo stato di malessere?»
R: «Alla base c’è un problema di identità: farsi un regalo significa premiarsi ed un dono si fa alle persone meritevoli. Quindi lo si fa per cercare di raggiungere un livello di autostima, un senso di soddisfazione interiore che, purtroppo però, è solo temporaneo».

D: «Quindi questa persona è mossa da una convinzione interiore?»
R:« Chiaramente. L’individuo che compra spasmodicamente è convinto che quell’oggetto possa recargli felicità e aumentare il suo livello di autostima. Il risultato porta il soggetto a convincersi che se io acquisto, io “posso” (= potere), io sarò. Ma è una convinzione erronea ovviamente perchè chi soffre di shopping compulsivo, immediatamente dopo aver comperato quell’oggetto, o non si sente per nulla soddisfatto oppure quel vestito che prima gli era tanto piaciuto, potrebbe non attirarlo più.»

D: «Armadi colmi di vestiti mai indossati?»
R: «Esatto, l’immagine è proprio questa. Il fatto è che ad un desiderio iniziale fortissimo corrisponde una mancata soddisfazione finale. Niente è sufficiente a colmare quel vuoto interiore. Ecco perché quel tipo di persona tende a riempire quelle lacune per mezzo di cose materiali. Qualsiasi cosa pur di aumentare la stima di sé stessi».

D: «Secondo Lei, dove possiamo posizionare storicamente questo disturbo? Insomma, quando è nato?»
R: « Questo impulso è nato col miglioramento economico e sociale: chiaramente, se una popolazione soffre di fame, di certo non elabora un disturbo dell’alimentazione perché sono bisogni che vengono coltivati col benessere economico. Le persone estremamente povere come quelle che vivono in zone sottosviluppate non sviluppano un bisogno del genere».

D: «Questi individui non sono spaventati dall’idea di andare incontro a problemi finanziari? Sapendo di avere poca disponibilità economica, non ci si sente limitati negli acquisti folli?»
R:« Non necessariamente. Il fatto che si vada incontro a problemi economici non blocca la voglia di comprare perché ci si sente come un giocatore d’azzardo: l’impulso a giocare è più forte della razionalità: la conseguenza è l’elaborazione di un senso di colpa posteriore all’azione perché a quel punto il bisogno è stato soddisfatto».

D: «Chi sono gli individui più colpiti da questa dipendenza?»
R: « Non a caso colpisce gli adolescenti, ragazzi che affrontano una fase della loro vita nella quale hanno a che fare con la formazione della loro identità.
Anche le donne sui quarant’anni, però, sono spesso colpite. A quell’età si comincia a fare i conti con la propria vita, si tirano le somme facendo attenzione a chi siamo e se abbiamo raggiunto gli obiettivi prefissati: sono entrambi, quindi, momenti a rischio; il primo perché è un’età non ancora definita, il secondo perché a quarant’anni potresti essere felice ma anche non pienamente realizzata o soddisfatta di ciò che hai o di chi sei».

D: «Chi sono, invece, le persone che hanno il disturbo opposto? Quelle cioè che definiamo un po’ avare?»
R:«Questi sono casi ancor più complessi: dietro una persona estremamente “tirchia” negli acquisti in genere si nasconde un individuo limitato e che ha paura di mettersi in gioco. Spesso la persona avara non sa esprimere i propri sentimenti perché teme l’investimento: dietro la paura di donare si nasconde quella ancor più forte dell’essere privati di qualcosa».

D: «Per concludere, c’è la possibilità di liberarsi di questa dipendenza da shopping?»
R:« Le correnti e le scuole di stampo più analitico interpretano questo disturbo come una comunicazione di una sofferenza: non si cerca, quindi, di impedire l’atto ma di capire che tipo di problema di identità si nasconde sotto al disturbo compulsivo. Consiglio di guardare “dentro” sé stessi anziché ammirare le vetrine dei negozi».