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Taylor Swift – Reputation: la recensione di GingerGeneration.it

scritto da Alberto Muraro

E l’Eterno Iddio disse alla donna: ‘Perché hai fatto questo?’ E la donna rispose: ‘Il serpente mi ha sedotta, ed io ne ho mangiato’.
Allora l’Eterno Iddio disse al serpente: ‘Perché hai fatto questo, sii maledetto fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali dei campi! Tu camminerai sul tuo ventre, e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita [Genesi, 3:13]

Uno specchietto per le allodole. I titoli dei giornali in copertina, il singolo di lancio. Taylor Swift ci ha sedotti ed abbandonati, ancora una volta, come d’altra parte ha già fatto con gran parte dei suoi amanti recenti. Il mondo intero si aspettava che il suo sesto disco, Reputation, sarebbe stato un concept album dedicato al peso della fama e invece così non è stato. Reputation è sì un disco sulla reputazione ma analizzata da un punto di vista inatteso.

Come Tay Tay ci racconta nel prologo, la reputazione è anche e soprattutto il modo con cui noi ci presentiamo agli altri. L’immagine che diamo di noi stessi cambia se parliamo di conoscenti, amici, genitori o partner. Radicalmente. E il lato che l’artista ha deciso di mostrarci questa volta è molto meno polemico di quello che avremmo mai potuto pensare.

Reputation nasce in realtà da un periodo di tre anni nel corso del quale chiunque ha parlato di Taylor Swift, nel bene e nel male. C’è chi (Kanye West, Kim Kardashian) l’ha dipinta come una viscida serpe ipocrita. C’è anche chi l’ha definita la persona più dolce del mondo, come i fan che hanno auvto la fortuna di ascoltare il suo ultimo disco in anteprima. Poco ma sicuro, Taylor Swift sa come far parlare di sé e, che le piaccia o meno, la sua buona o cattiva reputazione è tutta farina del suo sacco.

Fatte tutte le doverose premesse del caso, è necessario parlare di Reputation con un triplice approccio che ne analizzi i testi, le produzioni e lo stile e la musicalità. Questo perché, in buona sostanza, ognuno di questi livelli presenta pregi e difetti anche piuttosto accentuati.

Le 15 tracce che compongono l’album sono state prodotte da un trittico di tutto rispetto composto da Jack Antonoff (già al lavoro sul precedene 1989), Max Martin e Shellback. Il sound che il trio ha deciso di assegnare al disco è a tratti cupo, con bassi elettronici profondi che fanno da sfondo a basi puramente pop (è il caso di Ready for it?). Trattandosi di Taylor Swift, comunque sia, non sono le produzioni (seppur di altissimo livello) a doverci interessare.

Già, perché l’artista è nota anche e soprattutto per la sua capacità di spargere citazioni a non finire all’interno dei testi, rigorosamente scritti di suo pugno. A volte, i riferimenti a conoscenti sono palesi (vedasi il “palco sospeso” di Kanye West in Look what you made me do). Altre invece si va più sul sottile e resta all’ascoltatore la responsabilità di decifrare gli indizi (i ragazzi “più grandi” di cui parla nella piacevole Don’t blame me sono Tom Hiddleston, Calvin Harris, oppure entrambi?). Reputation, in ogni caso, disattende le aspettative nel senso “lirico” e non riesce a raggiungere le vette del suo predecessore.

Anche dal punto di vista sonoro, la sensazione è che l’obiettivo non sia stato pienamente centrato. Cosa rimane di fronte ai fasti di singoli come Shake it off, Blank Space, Bad blood o dei ritmi incalzanti di Out of the woods? La risposta è poco o nulla. Gorgeous, giusto per fare un esempio, non risulta all’altezza delle aspettative e si riduce ad una dichiarazione d’amore priva di originalità o una melodia accattivante.

La Taylor Swift innamorata, a quanto pare, non funziona come quella triste o delusa. Reputation parla infatti di una grande passione, anche piuttosto focosa (Dress) basata proprio sulla sua vera identità e non sulla reputazione che gli altri le hanno costruito addosso. Tuttavia, questa nuova consapevolezza non sembra, almeno ai primi ascolti, averle dato la giusta spinta per scrivere l’album di quela svolta che sembrava dietro l’angolo.

Sia messo agli atti: Reputation è un 1989 3.0 con un sound più deciso e a volte aggressivo (si percepisce qualche influenza della Lorde di Melodrama e di Flume) e, di conseguenza, è in linea generale un disco pop di ottima fattura. Definirlo capolavoro, ma anche soltanto il disco pop migliore dell’anno, potrebbe essere decisamente azzardato.

In barba alle attese, Reputation è in breve un disco che non intaccherà (ulteriormente) l’immagine di Taylor Swift, anche se, ed è un peccato, non le assicurerà un’accoglienza della critica commisurata alle sue precedenti esperienze discografiche, ma alla fine poco importa. Considerato il personaggio, viene da pensare che il principio giusto da applicare in questo caso sia “l’importante non è che se ne parli bene o male, l’importante è che ne se parli”.

Che cosa ne pensate di Reputation di Taylor Swift?